di Giancarlo Sbardellati
 

 

     Emanuele, innanzitutto grazie per la disponibilità a questo incontro.
Ma incominciamo subito: cos'è che ti ha spinto a disegnare, e quindi a realizzare fumetti e vignette la prima volta?

-Sono sempre stato abbastanza bravo con il lapis in mano, fin da quando ero piccolo. Non ho una preparazione didattica notevole sull'argomento, come invece hanno molti miei "concorrenti" che ambiscono ad un ruolo di primo piano e che sperano di eguagliare in popolarità autori che ormai tutti conoscono, come Silver o Jacovitti. Però mi diverto e considero tutto questo un hobby...-

A chi ti ispiri, per inventare personaggi e loro caratteristiche?

-A nessun altro autore in particolare. Infatti, come si può notare, il mio stile è ancora in definizione: c'è una perpetua fase di studio che mi porta, volta per volta, disegnando, ad analizzare e a perfezionare i tratti salienti dell'aspetto e della personalità. Cerco di riprodurre un ambiente, quello per intenderci della "vita di paese", con i suoi pregi (la semplicità morale) e i suoi "difetti".-

C'è, però, una tale striscia oppure una particolare serie che ti stimola o che comunque consideri al di sopra delle altre?

-Ogni striscia, ogni serie ha delle caratteristiche originali che la fanno essere unica nel suo genere... perchè anche per il fumetto esistono dei "generi". Mi piace molto, tra le altre, la striscia"Calvin and Hobbes": è semplicemente geniale! I protagonisti sono uno scapestrato e maleducato (sempre nei limiti) bambino e il suo tigrotto di peluche. La fantasia del piccino porta il tigrotto ad animarsi, quando i due restano soli, e a "vivere" giochi spettacolari; ci riapre un meraviglioso mondo: quello dei bambini, fatto di arguti stratagemmi e di grandi dispetti per baby-sitters antipatiche.-

28 dicembre 2000 

 

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